Più non colgo
un senso concreto
- ché è tempo sprecato -
nel gioco fugace
degli occhi
e nell’inconscio profondo
dell’io sfuggente;
ecco l'arcano
fumoso e lacerante
(ah! La musica jazz
che più non ricordo …)
Ondivaga incerta
e senza riguardi
mi colma di avances
l'ombra lieve del tiglio
che mi avrà.
Ma non tu che sei acerba
come l'uva d’agosto
serenamente appagata
da mani troppo esperte
e ammaliata
da gesti antichi
studiati e maliziosi.
Ora misuro un riverbero opaco
sulla lastra azzurrina di strada
e sinuosa frivoleggia la vampa
sui sili.
Faticoso ed incerto
ma senza inganni
è il tragitto
verso il bar.
Ridacchiando m'avvio.
Roma, 12 agosto 2014
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